Oggi viviamo in un’epoca in cui gli artisti cresciuti con una bomboletta spray in mano sono ampiamente accettati nel mondo dell’arte e delle gallerie. Ma ti sei mai chiesto quando è avvenuto il primo vero passaggio dai muri delle città agli spazi privati?
Quando si parla di questo tema, la sigla U.G.A. – United Graffiti Artists è una pietra miliare. Tuttavia, nonostante il suo ruolo cruciale, molti non la conoscono. Eppure, è anche grazie a questo collettivo se oggi l’arte urbana è così presente nei musei, nelle gallerie e negli spazi privati delle nostre città.
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UGA gli inizi
La United Graffiti Artists (U.G.A.) nasce nel 1972, grazie all’intuizione di Hugo Martinez, studente del City College di New York. Martinez, affascinato, come tanti di noi, dalle tag presenti all’interno della subway newyorkese ed ispirato dal movimento Latin Pride decise di iniziare una specie di ricerca sociologica personale per capire chi si nascondesse dietro le varie tag dei writer.
A quei tempi, scoprire l’identità di un writer era quasi impossibile per chi non facesse parte di quel mondo, popolato principalmente da figli di immigrati e ragazzi dei quartieri come Washington Heights. Tuttavia, la determinazione di Martinez lo portò a entrare in contatto con HENRY 161, che lo introdusse a una rete di altri writer.
Martinez riuscì a convincere alcuni dei migliori tagger e writer di Manhattan a partecipare a una dimostrazione al City College, mettendo a disposizione carta, spray e pennarelli. Dodici artisti si presentarono, tra cui COCO 144, PHASE 2, STITCH 1 e SNAKE 1.
Era l’autunno del 1972 quando Martinez ebbe l’idea di trasformare quel gruppo eterogeneo in qualcosa di mai visto prima: un collettivo artistico. Nacque così la United Graffiti Artists.
Dalla strada alle gallerie: il ruolo fondamentale della UGA
In breve tempo, la UGA guadagnò notorietà, anche grazie agli sforzi di Martinez, che cominciò a promuovere il collettivo e a reclutare nuovi talenti da Brooklyn e dal Bronx. L’ammissione al gruppo divenne esclusiva: per entrare, era necessario ottenere l’approvazione dei membri più esperti, i cosiddetti master writers.
Martinez aveva un obiettivo ambizioso: spostare l’arte dei writer dai muri alle tele, legittimandola agli occhi del mondo accademico e culturale. In un periodo in cui la pop art dominava la scena artistica, anche critici e collezionisti iniziarono a notare l’energia creativa di questa sottocultura urbana.
Il momento di svolta arrivò nel 1973, quando la Razor Gallery di SoHo organizzò la prima mostra collettiva di graffiti art, coinvolgendo gli United Graffiti Artists. L’evento fu un successo. Giornalisti e critici del New York Times, del New York Post e di Newsweek presero parte all’inaugurazione e le opere ricevettero recensioni positive. Uno dei critici definì i graffiti “una pop art dinamica”, mentre Peter Schejldahl, una delle voci più autorevoli dell’arte contemporanea, osservò che quelle tele non avrebbero sfigurato in una collezione di arte moderna.
Grazie alla UGA, il writing entrò ufficialmente nei circuiti dell’arte convenzionale, trovando spazio accanto alla pop art e all’arte contemporanea.
Il successo e le collaborazioni d’avanguardia
Un altro momento storico per la UGA fu la collaborazione con il Joffrey Ballet nel 1973. Durante una performance della compagnia, 18 writer della UGA dipinsero scenografie in tempo reale, mentre i ballerini danzavano complessi passi coreografici. Questo evento unì per la prima volta graffiti e arte performativa, mostrando il potenziale innovativo di questo movimento.
In quegli anni, alcuni writer iniziarono anche a vendere le loro opere su tela, un traguardo impensabile fino a pochi anni prima. Tuttavia, non tutti si adattarono facilmente al passaggio dalla strada alle gallerie: molti sentivano la mancanza dell’adrenalina, dell’illegalità e dell’energia unica del dipingere sui muri o sui treni.
La fine di un’era: la UGA si scioglie
Nonostante i successi, nel 1975 la UGA si sciolse. Divergenze interne, conflitti personali e la voglia di tornare alle origini portarono i membri a prendere strade diverse. Alcuni continuarono a dipingere e a esporre nelle gallerie, altri tornarono alla pura strada, mentre altri ancora abbandonarono del tutto la via artistica.
La UGA rappresenta un capitolo fondamentale nella storia del writing. Forse Martinez ebbe l’intuizione giusta nel momento sbagliato: dieci anni dopo, con l’esplosione del mercato dell’arte urbana, il collettivo avrebbe potuto scrivere una storia ancora più grande.
Ma non c’è dubbio che la United Graffiti Artists sia stata pionieristica: il primo vero tentativo di legittimare i graffiti come arte e i writer come veri artisti. È grazie a loro se oggi parliamo di arte urbana nei musei e nelle gallerie, riconoscendola come parte integrante del panorama artistico globale.
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